Nota a sentenza del Tribunale di Venezia n. 342 del 13.05.2021
Nel contratto di lavoro, entrambe le parti (datore di lavoro e lavoratore) possono recedere dal rapporto rispettando il periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato.
Il datore di lavoro quando decide di risolvere il rapporto di lavoro deve anche indicare la motivazione posta alla base del licenziamento (giusta causa o giustificato motivo) e rispettare il termine di preavviso (tranne nelle ipotesi di licenziamento per giusta causa).
Dal punto di vista del dipendente, invece, la scelta di dimettersi dal posto di lavoro non deve essere necessariamente motivata, salvo l’onere posto a suo carico rispetto del periodo di preavviso.
Si parla in tal caso di dimissioni volontarie.
Esistono invece delle ipotesi di dimissioni che non sono un atto volontario del dipendente, ma sono in qualche modo “atto dovuto”, in quanto rappresentano l’effetto di grave comportamento del datore di lavoro che non consente al dipendente di proseguire ulteriormente il rapporto di lavoro.
In questi casi parliamo di dimissioni per giusta causa.
Il principale effetto delle dimissioni per giusta causa è l’esonero dal rispetto del periodo di preavviso: se il datore di lavoro pone in essere un comportamento qualificabile come giusta causa di dimissioni, dunque, il dipendente può dimettersi ad nutum, senza rispettare il preavviso.
In tal caso il datore di lavoro sarà tenuto a corrispondere al dipendente l’indennità sostitutiva del preavviso.
Altro effetto delle dimissioni per giusta causa è il diritto del dipendente alla Naspi. In linea generale, infatti, l’indennità di disoccupazione, non spetta ai lavoratori che si dimettono volontariamente dal posto di lavoro. In caso invece di dimissioni per giusta causa, il dipendente ha diritto comunque alla Naspi, in quanto la perdita del lavoro è involontaria, perché dovuta a un comportamento del datore di lavoro. Tra l’altro, in caso di dimissioni per giusta causa, il datore di lavoro deve versare anche il contributo aziendale di recesso.
Dimissioni per giusta causa: quali sono le cause
Esiste una variegata casistica di dimissioni per giusta causa.
La giusta causa è un concetto generale ed astratto previsto dalla legge. E’ stata dunque la giurisprudenza, analizzando i casi concreti portati alla sua attenzione, ad identificare le fattispecie che possono essere considerate giusta causa di dimissioni, in conseguenza di comportamenti scorretti del datore di lavoro che non consentono la prosecuzione del rapporto di lavoro.
In particolare, si considerano giusta causa di dimissioni:
il mancato pagamento della retribuzione;
l’omesso versamento dei contributi;
l’aver subito molestie nei luoghi di lavoro;
l’aver subito condotte inquadrabili sotto la fattispecie del mobbing;
l’aver subito modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
l’essere stato trasferito in una sede di lavoro senza la sussistenza delle comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive richieste dalla legge;
l’essere stato oggetto di un comportamento ingiurioso da parte del superiore gerarchico.
Quando ricorre una ipotesi di giusta causa di dimissioni, il lavoratore può dimettersi per giusta causa senza rispettare il periodo di preavviso di dimissioni previsto dal Ccnl e può chiedere al datore di lavoro di versargli l’indennità sostitutiva del preavviso.
Tuttavia accade spesso che il datore di lavoro rifiuta le dimissioni per giusta causa in quanto contesta che, nel caso di specie, sussista una giusta causa di dimissioni. Non riconoscendo sussistente una ipotesi di giusta causa di dimissioni, il datore di lavoro tratterà il recesso del dipendente come una ipotesi di dimissioni volontarie rassegnate senza il rispetto del periodo di preavviso. Conseguentemente, il datore di lavoro tratterrà dalle spettanze finali dovute al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso di dimissioni, e trasmetterà al centro per l’impiego la comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni volontarie.
In questi casi, occorrerà adire il giudice del lavoro per l’accertamento della sussistenza di una ipotesi di giusta causa di dimissioni. Se il giudice valuterà come esistente la giusta causa, il datore di lavoro dovrà restituire al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso trattenuta e quindi versargliela.
La sentenza del Tribunale di Venezia.
Con la sentenza n. 342 del 13.05.2021, il Tribunale di Venezia si è di recente soffermato sul diritto alla Naspi di una lavoratrice che aveva rassegnato le dimissioni per giusta causa, rispetto alle quali il datore di lavoro aveva esercitato il c.d. respingimento.
Il caso affrontato riguarda quello di una lavoratrice che ricorreva giudizialmente al fine di ottenere dall’INPS l’indennità di NASPI a seguito delle dimissioni rassegnate per giusta causa, per mancato pagamento delle ultime retribuzioni, nonché nei confronti della ex datrice di lavoro per ottenere il medesimo importo - in caso di rigetto della domanda nei confronti dall’ INPS - a titolo risarcitorio, attesa la registrazione delle dimissioni a UNILAV quali dimissioni semplici.
Nella pronuncia in questione, il giudice del lavoro ha affermato che nel caso di dimissioni rassegnate per giusta causa, anche qualora il datore trasmetta al centro per l'impiego il modulo di cessazione di dimissioni semplici, il contenuto della comunicazione obbligatoria inviata dal datore non vincola l'INPS, che è tenuto ad erogare pertanto la prestazione NaSpi.
Il Tribunale di Venezia ha quindi ritenuto infondata la difesa dell’INPS che aveva negato la NASPI sia per registrazione ad UNILAV di dimissioni volontarie sia per disconoscimento della giusta causa delle dimissioni da parte della datrice di lavoro. Tali motivi non sono stati ritenuti fondati dal giudice del lavoro.
Secondo il Giudice del lavoro, la giusta causa addotta dalla lavoratrice a fondamento dell’interruzione del rapporto risultava dal modulo telematico con cui la stessa ha inviato le dimissioni, mentre la sussistenza dell’indicata giusta causa era pacifica e documentale posto che al momento delle dimissioni, la lavoratrice non aveva ancora ricevuto le retribuzioni di oltre tre mensilità per importi rilevanti e necessari per il proprio sostentamento.
Su tali presupposti, il Tribunale di Venezia ha accolto il ricorso della lavoratrice, dichiarando la spettanza dell’indennità NASPI.
Francesco Ugliano
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